Erboristeria Milardo

Agrimonia

Agrimonia eupatoria

 

Introduzione

L’uomo conosceva le virtù dell’agrimonia già in epoche preistoriche. Il nome del genere deriverebbe da una lettura errata o alterata di Plinio della parola argemonia che significa cataratta, in quanto si riteneva utile per curare tale malattia; grazie all’illustre ricercatore italiano Leonardo Santini oggi sappiamo quanto possa valere a tal proposito. Secondo altri autori deriva da argemone, una parola data dai greci alle piante che guarivano gli occhi.

Il nome della specie fu dato nel I sec. a.C. dal re del ponto Mitridate Eupatore, uomo di grande cultura scientifica il quale, secondo Plinio, fu il primo a scoprir le virtù di questa pianta. Altre fonti affermano che deriva da “hepatorium” per la sua attività sul fegato.

 

Cosa si intende per agrimonia

Notevole confusione è stata fatta non particolarmente nelle descrizioni bensì nel nome che è stato dato durante i secoli a questa pianta. È certo che Dioscoride e Galeno hanno chiamato “agrimonia” quella che oggi noi chiamiamo Agrimonia eupatoria. Avicenna, Mesuè ed altri autori chiamavano “eupatorio” non l’Agrimonia eupatoria ma l’Achillea ageratum. L’”agerato di Dioscoride” e l’”eupatorio di Mesuè” sono infatti la medesima pianta: Achillea ageratum. L’”Eupatorio di Avicenna” è quello che noi oggi chiamiamo Eupatorium cannabinum, che non è l’”eupatorio dei greci”. In altri testi, l’”eupatorio di Mesuè” invece è una pianta simile alla centaurea minore, forse una varietà di Achillea ageratum, simile all’eupatorio comune di Mattioli ma con fiori gialli, detta anche erba “gratiola” o “gratia dei” (sono questi ultimi due nomi che indicano l’”eupatorio di Mesuè” ne “La fabrica de gli spetiali” di Prospero Borgarucci, 1567).

Giuseppe Santini (1606), riferendosi all’”eupatorio”, scrive: “Quel di Mesuè è quell’herba amara, chiamata da alcuni canforata; da altri herba Giulia…” si riferisce probabilmente ad una centaurea e così fa intendere anche Complani. Riguardo l’”Eupatorio dei greci”, si tratta della pianta che molti autori accostano a quella che Galeno e Dioscoride chiamavano eupatorio, quindi A. eupatoria. Nel “Dizionario delle scienze naturali” del 1840 si può constatare che per “erba vettonica”, “erba da andata”, “erba guglielmo” (nei viaggi per la toscana di Giovanni Targioni trovasi con questo nome indicata l’Agrimonia eupatoria) si fa riferimento all’Agrimonia eupatoria. Facilmente si riscontra nei testi come molti autori l’hanno confusa con altre piante, tra cui: artemisia, abrotano, asaro, assenzio e altre.

È importante che chiunque si presti a studiare decotti, formule, infusi e rimedi vari dai testi antichi non faccia riferimento esclusivamente al nome bensì alla descrizione dell’autore a cui si fa riferimento. Si intende dunque che la prassi rigorosa è quella di usare per “eupatorio di Mesuè” quello che Mesuè e nessun altro intende per Eupatorio. Stessa cosa per l’”eupatorio di Avicenna”. Così si deve fare per tutte le piante in particolar modo quando si formulano tisane apprendendo dai testi antichi.

 

Descrizione botanica

Il genere agrimonia L. comprende 10-12 specie distribuite prevalentemente nelle regioni temperate del globo. Allo stato attuale delle conoscenze in Europa risultano segnalate 4 specie di cui 3 si trovano in Italia. Si tratta di una specie fenotipicamente variabile per caratteri sia vegetativi sia generativi, sulla base dei quali sono ad oggi accettate 3 sottospecie. In Italia coesistono la subsp eupatoria e la subsp grandis, la cui distribuzione a scala regionale è da definire.

Pianta erbacea perenne alta da 20 ai 150 cm, ha fusto eretto non o poco ramificato, peloso ghiandoloso. Le foglie sono imparipennate, generalmente cauline, provviste di stipole, con la pagina inferiore più chiara, talvolta formando rosette basali. Hanno forma ovata od ovato-lanceolata, sono dentate, sparsamente pelose. L’infiorescenza è rappresentata da un racemo spiciforme allungato (10-30 cm) terminale i cui fiori ermafroditi, brevemente peduncolati, hanno petali gialli (2×3.5 mm). Posseggono 5 sepali ovato lanceolati, 5 petali ovati od obovati, glabri, gialli, più di 10 stami ed 1 stigma dilatato o capitato. Il frutto è un diachenio (talvolta solo achenio per aborto dell’altro) circondato dall’ipanzio indurito conico o campanulato, possiede solchi profondi ben evidenti, è peloso e portante all’apice una corona di aculei uncinati. Cresce in prati aridi, incolti, da 0-1000 mslm, raramente 1500. Corologia subcosmopolita.1,2

 

Usi tradizionali

Un papiro egizio risalente al V sec a.C. testimonia l’uso dell’agrimonia nelle malattie agli occhi.

Uno dei testi più antichi e completi dedicati interamente all’agrimonia citato persino in “Storia della medicina Italiana” del 1846 di Salvatore De Renzi è “Disputatio de agrimonia, seu eupatoria regia” di Bassiani Complani, datato 1610, mai tradotto dal latino, da cui si deduce, oltre al resto, che Mesuè adoperava l’agrimonia nei dolori addominali.

Nella medicina antica è considerata pianta d’eccellenza per le proprietà vulnerarie, ma nei secoli il suo uso si è ampliato, vantando caratteristiche “astringenti, detersive, risolutive e aperitive”.

Mattioli ci restituisce ciò che proferì Galeno (II sec. A.C.) sull’agrimonia: “l’herba dell’Eupatorio è composta di parti sottili, hà virtù fuori di manifesta calidità d’incidere, di mondificare; la onde apre, e netta le oppilationi del fegato, al quale giova ancora fortificandolo, con una certa parte, che ha del costrettivo.” Da come si può intuire la pianta al suo tempo era considerata utile al fegato, secondo Avicenna e Mesuè è calda nel primo grado e secca nel secondo, per Culpeper calda e secca nel primo; è questo il motivo principale per cui il medico Robert James rivela: nei paesi freddi è di un uso mirabile”. Mattioli nella sua monumentale opera espone l’efficacia dell’agrimonia nei problemi della vescica (“Decottione d’agrimonia fatta nel vino bianco, bevuta alla quantità di sei once con zuccharo”) come l’incontinenza urinaria (“ Cenere di riccio terrestre bevuta con la membrana interiore del ventriglio di gallina e agrimonia”), egli riporta inoltre una ricetta di Dioscoride utile a cicatrizzare le ulcere che rimane nota per secoli, fino ad arrivare ai talentuosi Nicholas Culpeper e John Parkinson (medici eccellenti del XVII sec.) prima di cadere nell’abisso come similmente accade con altre preparazioni (acqua di agrimonia, elettuario cattolico, apozema di Barthez): “foglie di agrimonia tagliate minute, e incorporate con grasso di porco”; così riportano anche Girolamo Calestani (1580) e Robert James (1753). Quest’ultimo riproduce la preparazione di Dioscoride nel trattamento delle ulcere e aggiunge l’efficacia delle foglie o dei semi infusi nel vino “per le malattie del fegato, e le morsature dei serpenti, per la dissenteria”.3,4

È curioso come Samuel Dale espone l’infusione della parte aerea nel vino per permettere l’estrazione dell’olio essenziale: “…messa in infusione nel vino, finché gli abbia comunicato il suo odore, passa per un rimedio eccellente contra la malinconia. È buonissima per le piaghe, e tutto che corroborativa, e astringente, è buona nelle infiammazioni”. 5

Nicolás Lemery, citato anche da James, riferisce che la pianta “arresta il flusso di ventre, e entra spesso nelle decozioni de’ lavativi astringenti, nei gargarismi, e negli apostemi astringenti … nell’idropisia, nell’itterizia. Si ordina pure nella stranguria, e nel pisciar sangue. Si ordina nelle malattie del fegato, per le infiammazioni alla gola.” 6

Una dei più importanti elettuari utilizzati nel XIX sec., citato in apprezzabili testi (tra cui: “Dizionario di farmacia generale per Filippo Cassola” del 1846, “Dizionario compendiato delle scienze mediche” di G. Antonelli datato 1830, “Dizionario generale di farmacia” di Domenico Mamone Capria del 1842.), contiene agrimonia ed aveva proprietà purganti talmente efficaci da divenire un rimedio celebre; si tratta dell’elettuario cattolico (Electuarium catholicum), a volte chiamato “elettuario di rabarbaro”, da assumere sia per via orale sia per via rettale; Capria rivela che “con vantaggio si prescrive nelle malattie emorroidali e biliose”. Altra preparazione notevole è stato lo sciroppo magistrale d’eupatorio, utilizzato con successo da molti medici: “Giova il siroppo d’Agrimonia a’ difetti di figato, alla dissenteria e alli morsi di velenosi animali.”4,7,8 Molti autori riportano il successo di Chomel con l’uso dello sciroppo in due casi in cui il fegato era molto ingrandito e indurito. 9

L’acqua di agrimonia, riferisce Culpeper, prodotta dalla distillazione della pianta fresca in acqua, è stata utile alle ostruzioni del fegato e della milza (che di solito sono intese come ittero e malaria), inoltre “uccide i vermi e pulisce il corpo di acuti umori, che sono la causa del prurito e delle croste”.  10

L’Apozema di Barthez, composto da china grigia, agrimonia e millefoglio, edulcorato con carrube da qualche autore, è stato utile “ai catarri cronici”. 11

Da alcuni documenti appartenenti alla storia recente della medicina tradizionale traspaiono diversi usi che oggi si ripercuotono tra gli erboristi tradizionali come negli studi scientifici.

Un articolo della Gazzetta medica italiana del 1858 approfondisce l’affezione cronica della mucosa delle fauci di cui soffrono le persone che parlano o cantano in pubblico; secondo il dott. Feitchmann (citato peraltro anche da Gilberto Scotti (1872) a proposito dei gargarismi), rivela l’articolo, cederebbe facilmente grazie all’uso di un gargarismo composto dalla decozione di agrimonia: 15 grammi di foglie e 350 grammi di acqua da ridurre a 250 con la bollitura. Questa tisana va assunta tiepida e ad ogni ora; la tisana è peraltro presente anche nel prontuario di farmacia di Zucchi e Ranzoli (1854). Un altro utilizzo è quello sui problemi alla pelle riportato da Matthew Robinson, dove lo stesso riporta una interessante preparazione: “prendi uguali quantità di agrimonia, erba di San Giovanni e fiori di camomilla e assenzio, trasformali in decotto e fai una buona fomentazione, per dolori violenti, crampi, ecc.”

Lo stesso autore sottolinea la sinergia di Senecio vulgaris, tarassaco e agrimonia nelle ostruzioni del fegato. “Eccellente nella ghiaia” è invece il decotto di altea, tarassaco e agrimonia assunto ogni 3-4 ore.

Nelle “affezioni billiose e l’idropisia” è utile la corteccia gialla interna di Alnus glutinosa bollita con agrimonia, assenzio e finocchio. Bardana e agrimonia, un’oncia ciascuna, bollite in due litri di acqua finché si riduce il volume di un quarto, è utile all’ittero, e si assume dopo che raffredda nella dose di un bicchiere due o tre volte al giorno. 12

Becker, altro autore comparabile a Complani per lo studio intenso sull’agrimonia, evidenzia l’efficacia del decotto con la liquirizia contro la rogna e il prurito.13

Misconosciuto è stato l’utilizzo dell’agrimonia nelle malattie mentali a cui fa riferimento sia Santa Ildegarda sia il Manoscritto Aldini 211 che indica il decotto nella cura di coloro che sono “usciti di senno”.

Nella storia recente, a riprendere l’utilizzo dell’agrimonia è il dott. Leonardo Santini che con le sue esperienze cliniche ne ha rafforzato la validità terapeutica. Egli ne auspicava l’uso nelle dermopatie pruriginose e nelle forme orticarioidi, così come nelle patologie che vedevano alla loro base una condizione allergica o disreattiva come le colecistopatie, le cefalee, le emicranie, alcune forme di insonnia. 14

 

Composizione

La parte aerea contiene dal 4 al 10 % di tannini di cui la maggior parte catechine; si trovano anche interessanti flavonoidi come i derivati di luteolina, quercetina, apigenina, Kampferolo, iperoside, rutina, e acidi fenolici come l’acido clorogenico. La droga contiene anche triterpeni come acido ursolico, tracce di olio essenziale (0.2%). Caratteristica è invece la frazione etil-acetica che vanta un’alta percentuale di flavan-3-oli (19%) rappresentata principalmente da catechine (il 6%), gli oligomeri catechinici più rappresentativi sono procianidine (B1, B2, B3, B6, B7, C1, C2). In piccole quantità sono state trovate altre molecole come l’agrimonina (un ellagitannino), l’acido p-cumarico e l’acido ellagico. Da non sottovalutare sono la presenza di polisaccaridi (20%), di proteine composte da 17 amino acidi inclusi acido aspartico, glicina, alanina, valina, lisina, di vitamine (B, B1, C, E, K, PP), silicio, mucillagini e fitosteroli

Sulla base dei risultati di un recente studio, si è concluso che la più alta concentrazione di metaboliti secondari si trova nell’estratto acetonico, mentre la più bassa nell’estratto di dietiletere. L’estratto acquoso ha la stessa concentrazione in fenoli ma la metà in tannini e proantocianidine e un quinto della concentrazione di flavonoidi in confronto all’estratto acetonico. 15-18

 

Usi medicinali

Sono tantissime le proprietà approfondite da studi scientifici ma ancora è prematuro parlare di vere e proprie proprietà terapeutiche. L’utilizzo sugli occhi è stato approfondito da Leonardo Santini nella prima metà del secolo scorso con un preparato per le congiuntiviti a eziologia varia, dal cui uso egli verificò riduzione della secrezione, maggiore lucentezza della cornea, scomparsa della fotofobia, del prurito e del dolore. 19

Riguardo le ferite, uno studio ha precisato che tannini e polifenoli dell’agrimonia inibiscono la crescita e l’adesione microbica, i flavonoidi invece sono probabilmente i responsabili nel favorire la cicatrizzazione delle ferite, delle piaghe, delle ulcere esterne. 20 L’attività antibatterica è sostenuta anche dall’attività antibiofilm rinvenuta nell’estratto acetonico contro Pseudomonas Aeruginosa e P. mirabilis. 17

A contribuire alle proprietà antinfiammatorie, cicatrizzanti e antisettiche, oltre ai triterpeni vi sono tannini, flavonoidi e oli essenziali. Ciò consolida l’uso dell’antico e perpetrato decotto per gargarismi nel trattamento di faringiti, faringotonsilliti, stomatiti, ove all’azione antisettica, dovuta all’olio essenziale, si affianca quella antalgica. Persino la monografia dell’EMA ne suggerisce l’uso. 18

Dagli approfondimenti di Santini si sono tramandati fino ai giorni nostri importanti studi, sono stati trovati infatti strette relazioni tra steroidi e i triterpeni: questi ultimi sono precursori in grado di trasformarsi nell’organismo in ormoni steroidei ad azione corticosurrenalica e sono probabilmente coinvolti, insieme ai tannini, nell’effetto sull’incontinenza urinaria. Afferma il professor Renzo benigni (1942): “Notevoli proprietà antiallergiche ha manifestato l’estratto di agrimonia eupatoria nei casi di orticaria anche se ad andamento cronico, nell’edema di Quinke ed in altre condizioni morbose su basi allergiche o comunque disreattive”; ricollegandosi così agli impieghi di Culpeper di 4 secoli prima.

L’azione sul fegato è approfondita in un recentissimo trial che ha rivelato una riduzione significativa di ALT e TG dopo l’assunzione di un estratto; lo studio conclude positivamente sulla tolleranza e la sicurezza d’uso della pianta.21 In effetti, aveva già mostrato effetti protettivi nel danno epatico indotto da etanolo in ratti. 22 Un altro recente studio rivela che l’infuso della parte aerea e la frazione polifenolica hanno mostrato una significativa attività antiradicalica e antiinifiammatoria con la riduzione dei livelli di NO in vitro. Le attività antinfiammatorie e analgesiche sono state provate con successo in vivo per entrambi i campioni a concentrazioni prive di tossicità. 18 A proposito dei polifenoli, un interessante studio spezza una lancia a favore del misconosciuto utilizzo che ne faceva Santa Ildegarda, il quale sembra trovare una spiegazione nell’effetto anticolinesterasico della componente polifenolica. 23 Peraltro, nell’estratto metanolico di A. eupatoria sono stati trovati flavonoidi con effetto neuroprotettivo. 24

Recente è l’azione ipoglicemizzante; la prima segnalazione pubblicata su una rivista alla classe medica si deve al dottor Luigi Ferrannini (1942) che attribuiva l’attività ipoglicemizzante alla presenza delle glucochinine, principi per i quali ipotizzava un’azione diretta sul ricambio dei carboidrati. 14

In un recente studio notevole attività inibitoria hanno mostrato gli eluati contenenti agrimonina contro l’α-glucosidasi. 25 Un altro studio ha messo in evidenza la significativa riduzione del livello di glucosio a digiuno, del livello di emoglobina glicosilata e l’aumento del livello di insulina nel sangue in ratti diabetici; è auspicabile dunque un approfondimento sull’agrimonina e sull’attività antidiabetica.26

Utile è stato un preparato a base di agrimonia per trattare pazienti con gastroduodenite cronica; a tal proposito, l’agrimonina sembra utile a contrastare la gastrite cronica connessa con l’infezione da H. pylori, contro il quale mostra un effetto inibente. 27, 28

I composti bioattivi hanno anche un effetto antinfiammatorio sulla mucosa gastrointestinale. Il consumo dell’infuso ha un impatto positivo sui marcatori del metabolismo dei lipidi, sullo stato ossidativo e infiammatorio. I tannini agiscono invece come agenti astringenti e antidiarroici, mentre i flavoni partecipano all’effetto colagogico. 16, 18

Infine, è curiosa la simmetria tra quello che riferisce sull’agrimonia Santini (“realizzatore dell’omeostasi biologica“) e il vasto e ben documentato uso della parte aerea dell’agrimonia in quanto testimoniano la notevole influenza dell’agrimonia in tutto l’organismo, riuscendo ad avere un ampio spettro d’azione ed una notevole sicurezza che tuttavia è da rafforzare.

Rivista: L’Erborista

Mese: Ottobre 2019

A firma: Fabio Milardo

 

Bibliografia

 

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