Erboristeria Milardo

gramigna

Gramigna: tradizione e usi medicinali

Introduzione

Il nome scientifico della gramigna comunemente usato nella letteratura è Agropyron repens (L) Beauv., meno frequentemente Elymus repens (L.) Gould. In ragione alla disposizione dell’infiorescenza, simile a quella del grano, Linneo chiamò la specie Triticum repens. È una pianta infestante agricola ed orticola, presente principalmente nei climi temperati dell’emisfero settentrionale e in una certa misura in climi freschi a quote più elevate all’interno delle regioni più calde. Appartiene alla famiglia delle Gramineae o Poaceae: sono importanti soprattutto dal punto di vista economico, grazie alle riserve glucidiche che si trovano sotto forma di amido nelle cariossidi dei cereali e di saccarosio nei fusti e nei rizomi della canna da zucchero e del sorgo; destano interesse infatti per l’alimentazione degli animali e dell’uomo. Dal punto di vista medicinale il rizoma ha riscosso notevole successo; essendo una pianta molto comune l’uomo, nel corso della sua esistenza, non ha potuto fare a meno di utilizzarla anche per il proprio benessere. La specie cresce su molti tipi di terreno, minerale e organico; sembra essere molto competitiva su terreni fertili, ricchi di azoto e con un buon apporto idrico; ha meno successo su terreni molto acidi o secchi e poco profondi 1.

Variabilità della specie

Che la specie abbia una notevole variabilità intraspecifica risale al 1963, quando due ricercatori compararono campioni di gramigna dalle isole britanniche e dalla Norvegia notando differenze nella crescita, nel periodo della fioritura e nella resistenza alle infezioni 2. Qualche anno dopo, all’interno di due specie clonate furono scoperte differenze genetiche in germogli e rizomi, delineando così una netta variabilità genetica 3.

Inoltre, è da considerare la rilevante adattabilità della specie, che è dimostrata dalla capacità di replicazione e di propagazione su terreni diversi e in sistemi di coltivazione differenti 4.

La variazione morfologica è cospicua e complessa, per cui risulta difficile l’interpretazione tassonomica. La differenziazione non è influenzata soltanto da condizioni ecologiche e geografiche, potrebbe essere causata dai processi evolutivi o dalla diffusione, che ha origine sia dai rizomi sia dall’impollinazione incrociata che a sua volta genera nuove combinazioni morfologiche. L’intensa capacità del genotipo di svilupparsi in differenti fenotipi in relazione a diverse condizioni ambientali, siano esse biotiche o abiotiche, è documentata da uno studio recente che approfondisce la biosistematica della specie. Alcuni ricercatori hanno esaminato la variabilità morfologica inter e intrapopolazione della gramigna; sono stati presi in considerazione 48 caratteri morfologici ottenuti da 1180 campioni raccolti in habitat diversi. La variazione morfologica, conclude lo studio, non è correlata al tipo di habitat né alla posizione geografica. I risultati suggeriscono che l’ampia variazione morfologica può essere causata dalla plasticità fenotipica, in cui diversi schemi morfologici sono realizzati sulla stessa base genomica 5.

Descrizione Botanica

La specie descritta più completa è la varietà Elymus repens ssp. repens; è un’erba perenne rizomatosa che sviluppa culmi eretti, più o meno curvi alla base. La loro lunghezza è compresa tra 30 e 120 cm.

Le lamine fogliari sono morbide e relativamente piatte, larghe 3-10 mm, opache e per lo più verde scuro, a volte glauche. Sulle foglie inferiori le guaine sono spesso fortemente pelose, sulle foglie superiori sono lisce o leggermente morbide. L’infiorescenza è un picco denso piuttosto lassista, come un picco di grano ma più snello, per lo più lungo 5-10 cm. Le spighette sono compresse, lunghe 5-15 mm, di solito con 4-6 fiori. Le glumette sono lunghe 5-15 mm, lanceolate e prevalentemente a punta, a lemma di 6-11 mm con una squama da meno di 1 mm a circa 10 mm. La spighetta, protetta da due glume alla base, porta uno o più fiori racchiusi da due glumette; ciascuno di essi è composto da 3 stami e un pistillo con 2 stigmi piumosi.

I semi sono racchiusi nelle glume, formando un’unità a forma di rocchetto, più larga al centro. La cariosside è di solito lunga 4-5 mm.

I rizomi sono di colore giallo paglierino con internodi da 2 a 8 cm di lunghezza e circa 3 mm di diametro. I loro nodi, con gemme più o meno differenziate, sono originariamente ricoperti da guaine scagliose che decadono piuttosto rapidamente. I loro apici sono racchiusi da guaine che formano una copertura squamosa, terminando con una punta acuminata. I rizomi sono per lo più striscianti tra la superficie del suolo a una profondità di 5-10 cm, o fino a 20 cm in terreno, possono raggiungere lunghezze superiori a 1 m in condizioni favorevoli di crescita. Le radici fibrose si sviluppano dai loro nodi 1.

Usi tradizionali

L’uso tradizionale della gramigna è ancora frequente nel nostro Paese; essendo molto comune ed avendo proprietà diuretiche e rinfrescanti, il decotto veniva preparato con il rizoma fresco da molte famiglie che vivevano in campagna, talvolta con parietaria e malva. Il sapore è leggermente zuccherino e la decozione fermenta con facilità per il contenuto degli zuccheri. Si tratta dunque di una bevanda domestica nella quale alle volte si aggiungeva ossimele per aumentarne le proprietà diuretiche; oppure la liquirizia che cambiava il sapore diventando simile a quello del cocco 6.

La formulazione del pregiato “graminis radix dulcis” appartiene ai discepoli della scuola Galenica; si tratta di un estratto acquoso del rizoma di gramigna, conosciuto principalmente per le proprietà delicatamente aperitive e diuretiche 7. Secondo Galeno, avendo un gusto “acqueo”, il rizoma è Freddo e Secco; “… imperò può ella consolidare le ferite sanguinose, fresche. … Oltre a quella sottilità, mordacità, che si ritrova essere nella radice, è veramente poca: benché soglia qualche volta la sua decottione bevuta rompere le pietre”.

A proposito della “sottilità” alla quale asserisce, Galeno aveva già scoperto, attraverso un’attenta osservazione, a dimostrazione del genio e dell’estremo impegno che lo hanno caratterizzato, oltre al fiuto fortemente sviluppato, che nel rizoma della gramigna vi erano degli oli essenziali.

Per Dioscoride “Giova ai dolori delle budelle decotta, alla vescica, a rompere le pietre della vescica… La radice tagliata e applicata alle ferite le salda … Cotta la radice nel vino medica i dolori delle budella, e conferisce all’orina ritenuta e all’ulcere della vescica, e rompe le pietre”. Le testimonianze si sono ripercosse nel tempo, oralmente ma soprattutto attraverso i testi; sono infatti tantissimi i medici che hanno sperimentato l’uso della gramigna da loro descritta. Nel suo “Manuale di Farmacologia”, Giuseppe Meyer (1841), medico di corte, ordinario del seminario di S. Agostino, adopera la gramigna nelle malattie infiammatorie e nelle “febbri gastriche e billiose, nei catarri polmonari, nelle malattie organiche del petto e dello stomaco”; riporta inoltre il successo (testimoniato anche in altri testi da altri medici 6) suo e dei suoi colleghi sulle “lesioni del piloro … , sulle malattie organiche dello stomaco e del petto” guarite con il solo decotto del rizoma. Anche lui, come altri, rivela che è utile la somministrazione “nei dolori degli organi bassoventri”, come “nelle malattie cutanee”. 60 g di rizoma bollito in 1 litro di acqua fino a quando il volume si riduce della metà, da assumere nella dose di una tazza per volta, nel corso della giornata. Sono descritte anche le Virtù: “blando solvente, emolliente diuretico, fondente, antiflogistico, accrescente la recreazione delle membrane mucose, migliorante le qualità morbose dei fluidi.” 8

Valeriano Luigi Brera (1826), medico e patologo italiano, primario negli ospedali di Pavia e di Crema, utilizza un decotto di tarassaco e gramigna nelle “ostruzioni alla milza e del fegato”, ma più in generale nei “temperamenti collerici”. L’utilità in tali temperamenti è testimoniata anche da Georg August Richter (1833) il quale riferisce che “con la sola radice si guarisce dalla febbre biliare” (probabilmente conseguente alla malaria), ma ha anche avuto successo nel trattamento dell’itterizia, dei calcoli biliari e “delle affezioni della mucosa dei condotti biliari, quindi ne catarri cronici, nelle peripneumonie, ne tubercoli polmonari propensi ad infiammarsi di frequenti”. Richter riporta la sua ricetta, appartenente alla Farmacopea prussiana del tempo, molto simile a quello di Meyer: 120g e più di radice in 1,5 litri di acqua, bollire fino a quando il volume si riduce della metà, da assumere quando raffredda in tazze da te durante la giornata 10.

Il rizoma della gramigna ha avuto un successo non indifferente, degno di nota è infatti l’uso di numerosi e autorevoli medici come Gehard Van Swieten (1788), V. L. Brera (1826), Gaspare Federigo (1835), Friedrich Theodor Freichs (1879), Gilberto Scotti (1872); loro, peraltro, sono curiosamente accomunati dall’impiego della gramigna insieme alla radice di tarassaco nel trattamento dell’ittero e di altre problematiche del fegato. Quest’ultimo destina ai giorni nostri la testimonianza della scoperta della “cinodina”, molecola simile all’asparagina. Siamo nel 1827, il dott. Giovanni Semmola, impareggiabile medico e farmacologo italiano, primo a descrivere la Distrofia di Duchenne, scoprì questo nuovo alcaloide; si tratta però della gramigna rossa (cynondon dactylon) le cui proprietà ed il cui contenuto sono sovrapponibili alla gramigna descritta.

Il prontuario farmaceutico di Alessandro Ranzoli e Carlo Zucchi (1854) mette in risalto la validità della pianta nelle febbri come nelle infiammazioni, sottolineando quanto il decotto sia comune negli ospedali italiani “come diuretico nelle idropi e nelle malattie della pelle e come risolvente nelle ostruzioni addominali ed altre alterazioni dei visceri del basso ventre” 11.

Nicholas Culpeper (1698), e successivamente Joseph Miller (1722), confermano ancora una volta che il decotto “apre le ostruzioni del fegato e della bile, è utile alle ostruzioni dell’urina, nei calcoli e nelle ulcere vescicali e alle infiammazioni, facilita inoltre il dolore lancinante del ventre”. Il decotto o la distillazione del rizoma, assunti a digiuno, “uccidono i vermi nei bambini” 12.

Sir Henry Thompson, celebre chirurgo inglese, nel suo “The disease of the prostate” (1873) rivela, oltre a quanto già detto, che il decotto è utile nelle malattie della prostata, citando a tal proposito i successi di John Gerard (nel suo famoso “Herball”, del 1623); a prescindere dalla natura della patologia, egli riscontra una importante riduzione sia della frequenza sia del dolore della minzione con l’assunzione di un decotto di gramigna così fatto: 120 g circa di rizoma essiccato bolliti in 2 litri di acqua, fino a quando il volume si dimezza. Da bere entro 24 le ore.

Robert James, nel suo “Medicinal Dictionary” (1743), parla della gramigna in modo analogo: il decotto delle radici si beve “contro le lamentele, difficoltà ad orinare, ulcere della vescica, per rompere le pietre, come Dioscoride… è anche moderatamente aperiente e lenitivo”. La proprietà litontritica è ben sviluppata e dimostrata da molti documenti da Herman Boerhaave, medico, chimico e botanico olandese 13.

Questo rizoma non era usato soltanto per scopi medicinali, lo dimostra il fatto che è stato per molto tempo venduto nel mercato di Napoli come cibo per cavalli 14. Gli antichi egiziani inoltre usavano la polvere della gramigna essiccata mischiata alla farina per fare il pane, tale uso è poi stato imitato dai popoli settentrionali in tempi di carestia. I cani invece ne mangiano le foglie per procurarsi il vomito, a causa dell’irritazione che provoca nell’esofago.

Composizione ed usi medicinali

Il rizoma è ricco di carboidrati (fruttosio, glucosio, inositolo, mannitolo), mucillagini (10%), pectina, triticina, glicosidi cianogenetici, flavonoidi, saponine, oli essenziali di cui il la maggior parte monoterpeni (carvacrolo, carvone, trans-anetolo, timolo, mentolo, tra gli altri) e sesquiterpeni; in quantità minori sono presenti vanillina glucoside, ferro e altri minerali (principalmente silice), vanilloside (vanillina monoglucoside), acidi fenolcarbossilici, acido silicico e silicati 15.

Il potenziale terapeutico della gramigna vantato dai testi antichi è sostenuto da pochi studi scientifici che forniscono prove interessanti, le quali non sono tuttavia sufficienti per stabilire il trattamento o la gestione dei problemi all’apparato urinario. I risultati di studi preclinici e clinici su alcune formulazioni a base di gramigna sono promettenti, il che sottolinea l’utilità dei rimedi tradizionali 16.

Circa un secolo dopo la scoperta di Giovanni Semmola, nel 1981 e nel 1990, alcuni ricercatori approfondiscono le potenzialità della Cinodina scoprendo la capacità di legarsi al DNA ed inibirne irreversibilmente la sintesi nei batteri e nei fagi 17, 18. Questa qualità potrebbe sostenere l’uso tradizionale nelle problematiche del tratto genitourinario; a coadiuvare tale caratteristica è il mannitolo (diuretico osmotico), che aumenta il volume delle urine; questa sostanza si accumula negli interstizi intercellulari provocando la perdita di acqua da parte delle cellule che viene rapidamente eliminata sotto forma di urina. Ad avere qualità diuretiche, seppur lievi, sono anche le saponine e la vanillina.

Le ricerche di Sir Henry Thompson, che riguardano la frequenza della minzione, arrivano ai nostri giorni. In uno studio clinico, a 99 pazienti con disturbi della minzione (12 femmine e 87 maschi) è stato somministrato un estratto fluido etanolico di gramigna per 28-31 giorni: disuria, nicturia e tenesmo, dovuti ad adenoma della prostata, prostatite e cistite, si sono significativamente ridotti, insieme ad alcuni marcatori dell’infiammazione (proteine, epiteli, leucociti ed eritrociti nelle urine) che sono stati normalizzati. Lo studio conclude che il 96% dei pazienti ha confermato l’efficacia del trattamento, non sono stati rilevati peraltro effetti collaterali. Lo studio purtroppo è aperto, non ha quindi un gruppo di controllo 19.

Uno studio preclinico su ratti diabetici evidenzia come il meccanismo d’azione, che subordina l’attività ipoglicemizzante, sembri essere indipendente dalla secrezione di insulina; non sono state osservate infatti variazioni nelle concentrazioni di insulina plasmatica dopo il trattamento 20.

La somministrazione orale dell’estratto acquoso del rizoma, oltre al resto, ha causato anche una significativa riduzione del peso corporeo, 2 settimane dopo il trattamento orale. In questo studio, ratti gravemente iperglicemici hanno risposto al trattamento con una riduzione sia dei livelli lipidici sia del peso corporeo 21.

Il trattamento con un estratto contenente gramigna, secondo un recentissimo studio, previene la formazione di cristalli di ossalato di calcio e di microcalcificazioni nel rene, riducendo inoltre il rischio di fibrosi sottocapsulare 22.

Gli effetti antinfiammatori sulla cute di una crema a base di gramigna sono paragonabili, secondo uno studio, a quelli di una crema a base di glucocorticoidi 23.

Spesso i testi di medicina pre- e post- medievali si rivelano un interessante opportunità per lo sviluppo di nuovi studi clinici, per ampliare le conoscenze fitochimiche, le proprietà farmacologiche di piante medicinali che oggi sono utilizzate dagli erboristi soltanto per l’effetto più conosciuto, quello diuretico nel caso della gramigna.

Non sono disponibili studi sulla tossicità dei preparati a base di gramigna. L’uso tradizionale dovrebbe dunque essere supportato da nuovi studi per valutare efficacia e sicurezza 24.

Autore: Fabio Milardo

Rivista: l’Erborista. Mese: aprile 2019

Bibliografia

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