Introduzione
Il nome del genere Althaea viene dal greco “altho” che significa curare, il nome della famiglia a cui appartiene, Malvaceae, deriva invece dal greco “malake” che significa morbido. All’altea è legata la leggenda di Meleagro, figlio di Altea e di Eneo, signore di Calidone. Meleagro uccise un terribile cinghiale mandato da Artemide, offesa perché Eneo non aveva compiuto sacrifici in suo nome; la pelle dell’animale suscitò un’aspra contesa fra due popolazioni confinanti: Etoli e Cureti. Durante la lotta Meleagro si schierò con i primi e per mano sua morirono i fratelli di Altea. Fin dalla nascita del figlio la donna aveva custodito un tizzone ardente che, secondo l’avvertimento delle Moire, era legato alla vita di Meleagro. Alla morte dei suoi fratelli Althaea, in un momento di rabbia, gettò il tizzone nel fuoco provocando così la morte del figlio. Subito pentitasi la donna pianse disperata e dalle sue lacrime nacque la pianticella le cui proprietà erano note ancor prima di Omero.1
Caratteristiche botaniche
L’Althaea officinalis è una pianta erbacea perenne caratterizzata da una radice carnosa fusiforme cilindrica con polpa interna biancastra ed esternamente giallastra; i numerosi fusti si presentano tomentosi, eretti, semplici o poco ramificati, alti fino 1,5 m. Si tratta di una pianta diffusa nei luoghi umidi da 0 a 1200 m s.l.m, si trova lungo le sponde dei canali anche in presenza di acqua salmastra.
La radice, lunga fino a 50 cm, è affusolata, lunga e spessa, con una corteccia dura ma flessibile e presenta radici secondarie di alcuni cm di spessore. Nel primo anno cresce uno stelo non fiorito; dall’autunno a marzo del secondo o del terzo anno di vita, dopo aver eliminato la parte aerea, la radice viene recisa al di sotto del colletto e dopo la mondatura dalla corteccia e dalle radichette laterali si lava per eliminare la terra. Tagliata solitamente a cubetti si essicca all’ombra; viene conservata in vasi di vetro ermeticamente chiusi in ragione della sensibilità all’umidità.
Le foglie, palminervie, intere o tri-pentalobate, si presentano brevemente picciolate, stipolate, alterne e con la tipica pubescenza che da una sensazione morbida e vellutata al tatto; la lamina ovale a lobi acuti ha il lobo centrale più grande e il margine crenato, talvolta sono pieghettate come un ventaglio. Lunghe da 5,1 a 7,6 cm e larghe circa 2 cm si raccolgono prima della fioritura, come prevede la farmacopea britannica, recidendole insieme al picciolo; quelle inferiori sono generalmente tondeggianti, quelle inserite lungo il fusto sono il più delle volte triangolari.
I fiori hanno la forma di quelli della malva comune ma sono più piccoli. Peduncolati, ascellari o terminali, di colore dal rosso chiaro al bianco o rosso porpora, hanno una larghezza di circa 5 cm ed una lunghezza di 3. Ermafroditi, attinomorfi, pentameri e dialipetali, posseggono un calice caratterizzato da due verticilli: quello interno ha 5 sepali ovati, curvati sul frutto peloso; l’epicalice invece ha 5-13 lacinie saldate alla base. La corolla ha 5 petali lunghi 1,5-2 cm con antere purpuree. I numerosi stami sono fusi insieme alle antere ad un tubo cilindrico. L’ovario è supero con numerosi stili. L’antesi è tra maggio e agosto, seguita, come in altre specie di questa famiglia, dal frutto. Si raccolgono intorno ai mesi di giugno-luglio e si essiccano all’ombra.
Il frutto schizocarpico, densamente pubescente, è formato da numerosi acheni disposti circolarmente uno vicino all’altro; è un camario discoide con 15-25 mericarpi giallo-verdastri, indeiscenti, uniloculari, monospermi, piani con dorso convesso. Il seme, contenuto nel mericarpo, è reniforme di colore marrone scuro.2
Storia e Usi Tradizionali
L’intera pianta, in particolare la radice, è ricca di mucillagine. Secondo quanto riferito l’altea è stata usata nella medicina tradizionale europea per oltre 2000 anni.
Ippocrate consiglia il decotto della radice come rimedio per le ferite, mentre Dioscoride per trattare anuria, diarrea, litiasi, lesioni interne, dolore ai nervi, puntura d’ape, mal di denti. Nel Medioevo Paracelso la prescrive negli ascessi per le spiccate proprietà emollienti, Lonicerus e Mattioli come espettorante e diuretico, in lesioni interne ed esterne come ulcere e ustioni.
Il suo uso terapeutico fu censito per la prima volta nel IX secolo a.C., periodo in cui era ampiamente usato dalla medicina greca. La radice ancora oggi viene spesso adoperata come componente di decotti o sciroppi destinati al trattamento della tosse. Dalla medicina greca si estese a quella araba, poi a quella Ayurveda e alla medicina Unani. Pare che i primi medici arabi l’usassero principalmente nella preparazione di un impiastro fatto con le foglie per contrastare l’infiammazione. Persino il re Enrico VIII utilizzava un impiastro a base di altea per le ulcere alle gambe, di cui sovente soffriva, e per le caviglie gonfie.
La farmacopea Ayurveda indiana (2006) riporta usi terapeutici delle radici e dei semi nel trattamento, tra le altre condizioni, di tosse, bronchite, corizza (naso che cola) e disturbi della gola. Un importante formula che contiene i semi, chiamata “Gojihvadi Kvath”, indicata per la tosse, è utilizzata ancora oggi negli ospedali. La medicina Unani usa il seme per il trattamento di bronchite, pleurite, polmonite e calcoli renali. Anche la medicina tradizionale mediterranea la utilizza per i calcoli, non i semi ma la radice la quale appare tra le piante maggiormente lenitive a tal proposito. Esiste una preparazione appartenente alla medicina Unani, chiamata “Lauq-e-Sapistan”, adoperata con successo per secoli nella tosse secca e irritante, soprattutto in caso di espettorato scarso, di bronchite catarrale cronica: è a base di miele e polvere di semi di altea, melone (Cucumis melo, var. momordica, Cucurbitaceae), frutto di giuggiola (Ziziphus jujuba, Rhamnaceae) cotogna (Cydonia oblonga, Rosaceae) ed altro. Un dolce tradizionale arrivato fino ai giorni nostri è il marshmellow, che peraltro è uno dei nomi con cui viene chiamata l’altea; nel recente passato (circa la metà del XVII sec.) i farmacisti francesi prepararono una meringa con estratto di radice di altea, albume d’uovo e zucchero chiamata “Pâté de Guimauve”, usata per trattare le “lamentele al petto”. Verso la fine del XIX secolo il marshmallow era facilmente disponibile al pubblico sotto forma di caramelle ma da allora, a causa della produzione industriale, non contenne più l’estratto di altea.
Nel 1989 la Commissione E approva sia la foglia sia la radice nel trattamento dell’irritazione alla bocca e della gola, anche nel caso vi sia associata la tosse secca. La radice è stata anche approvata per l’infiammazione della mucosa gastrica; tale uso mette in evidenzia la simmetria che coesiste tra le varie tradizioni e l’uso odierno, non a caso ancora oggi molti erboristi tradizionali adoperano tale radice (in pezzetti o in polvere) per sostenere le mucose infiammate, come nel caso del reflusso gastroesofageo (uso peraltro approfondito, ma non confermato, da uno studio16).
Poiché tutte le farmacopee nazionali e i formulari degli stati membri della Comunità Europea sono in via di armonizzazione, una monografia per l’altea è stata recentemente sviluppa dal “Committee on Herbal Medicinal Products (HMPC)” e dell’EMA.
Allo stesso modo, la ESCOP indica la radice in macerato per il raffreddore e in sciroppo per tosse secca e irritazione alla bocca o alla gola, il macerato a freddo inoltre per il trattamento delle irritazioni gastrointestinali. Tuttavia, la monografia dell’OMS afferma che gli usi medicinali della radice non sono supportati da dati clinici. Per gli usi descritti in farmacopea e in sistemi di medicina tradizionale l’OMS cita tre monografie: British Herbal Compendium, ESCOP e quelle della Commissione E.
Di notevole interesse sono i preparati presenti nel monumentale “A modern herbal” di Maud Grieve. L’”Acqua di altea” si prepara immergendo 29 g di radice in poca acqua fredda per mezz’ora, in modo che la corteccia si possa facilmente separare; successivamente si spezzetta la radice decorticata, si fa riposare in acqua un paio d’ore, si fa bollire e si beve quando diventa tiepida, il tutto può essere addolcito con miele o zucchero e aromatizzato con acqua di fiori d’arancio o con il succo. Data la mole di riferimenti storici può essere pertanto utilizzata con buoni risultati in determinati casi di tosse inveterata e catarro. Per calcoli o sabbia renali M. Grieve adopera tutta la parte aerea in fiore: si fa bollire e si beve dopo l’intiepidimento, nel caso di renella o irritazione del rene se ne assume fino a mezzo litro al giorno. Le radici fresche in polvere o pestate costituiscono un buon impiastro che ostacolerebbe l’infiammazione più ostinata e preverrà la necrosi: la sua efficacia a tal riguardo gli è valsa il nome di “Mortification Root”3. L’infusione di 29 g di foglie in 500ml di acqua bollente è un rimedio tradizionale adoperato frequentemente per il lavaggio degli occhi infiammati. Le foglie fresche, impregnate di acqua calda e applicate alle parti interessate come cataplasmi riducono l’infiammazione, sfregate su qualsiasi puntura delle vespe o dalle api riducono il dolore, l’infiammazione e il gonfiore4. Uno studio conferma che l’olio essenziale delle foglie mostra un effetto analgesico che può coinvolgere sia il sistema nervoso centrale che quello periferico18.
Occasionalmente viene adulterata con la radice di Althaea rosea. Le adulterazioni con le radici di Atropa belladonna, come descritto nella più antica letteratura, non si verificano più.
Composizione ed usi medicinali
Molti composti sono stati estratti da diverse parti delle piante, tra cui pectine, amido, mucillagine (la radice ne contiene il 25-35%), isoquercitrina, campferolo, acido caffeico, acido pumunico, acido ferulico, acido p-idrossibenzoico, acido salicilico, acido vanillico, cumarine, scopoletina, fitosteroli, tannini, asparagina e altri amminoacidi. I polisaccaridi delle mucillagini sono presenti dal 5 all’11% circa (a seconda del periodo vegetativo, con valori più alti in inverno).
Essendo ricca di mucillagini, come altri prodotti naturali, può modificare i mediatori dell’infiammazione o ripristinare la barriera mucosa intestinale; motivo per cui la radice di altea è stata inserita in un recente studio sulla colite ulcerativa17.
Alcuni ricercatori dell’università di Shiraz, arsi dall’ambizione e dalla curiosità, hanno voluto sperimentare su esseri umani un rimedio tradizionale ancora oggi utilizzato. In questo interessante case report, peraltro esposto al “World Congress Integrative Medicine & health 2017”, in cui hanno partecipato 32 donne, una applicazione topica tradizionale a base di aceto d’uva e foglie di altea è stata utile nella dermatite seborroica; tale preparazione è applicata per 20 minuti. Dopo 4 mesi, è stata raggiunta una remissione tale da non essere più presenti segni di squamosità sul cuoio capelluto, tantomeno sintomi come prurito, eritema, forfora, arrossamento e infiammazione. Sulla base di questa esperienza clinica, benché isolata, il trattamento potrebbe essere valutato da metodi rigorosi come studi randomizzati e controllati.5
Relativamente alla medicina tradizionale Rezaei et al hanno voluto approfondire l’effetto dell’altea su alcuni agenti infettivi e sul risanamento delle ferite. Nel presente studio è stata valutata l’attività antibatterica e cicatrizzante dell’estratto idroalcolico di foglie. I costituenti attivi dell’estratto promuovono il processo di guarigione delle ferite aumentando la vitalità o la forza delle fibre di collagene, migliorando la circolazione o prevenendo il danno cellulare o promuovendo la sintesi del DNA. Sembra che i rimedi topici fitoterapici inducano la guarigione e la rigenerazione del tessuto perso attraverso meccanismi multipli. La guarigione delle ferite consiste nell’interazione di complesse e numerose attività cellulari e biochimiche che porta al ripristino dell’integrità strutturale e funzionale; con il recupero della forza dei tessuti lesi la riepitelizzazione e il rimodellamento tissutale sono eccellenti. Tra i meccanismi vi sono inoltre l’inibizione della crescita microbica e l’arresto del sanguinamento. L’effetto antibatterico tuttavia non è potente in confronto ad altri studi, uno dei motivi è stata la bassa concentrazione di olio essenziale nell’estratto. Un altro fattore che influenza gli effetti antibatterici dell’estratto della pianta è stato il metodo di estrazione e il tipo di solventi utilizzati. Gli estratti sono stati ottenuti dalle piante con diversi metodi e solventi che possono causare diversi risultati antibatterici. Vari studi hanno dimostrato che Althaea officinalis L. ha una vasta attività antibatterica contro la maggior parte dei batteri, la potenza è dunque imputabile alle caratteristiche dell’estrazione. I risultati di questo studio hanno dimostrato che l’estratto idroetanolico di foglie di Althaea officinalis L. ha effetti antinfiammatori e riduce la gravità dell’infiammazione che può contribuire alla guarigione della ferita.6 Questo effetto è ulteriormente confermato uno studio recentissimo sulla carie dentale dove alcuni estratti di radice hanno mostrato effetti antibatterici su S. mutans e L. acidophilus, ma questo effetto era però inferiore a quello del collutorio alla clorexidina e alla penicillina. L’effetto antibatterico è aumentato con l’aumento della concentrazione dell’estratto. L’attività antimicrobica si concretizza anche contro Pseudomonas aeruginosa, Proteus vulgaris e Staphylococcus aureus nonché contro alcuni funghi.7 Appurando tali considerazioni sarebbe interessante sostenere ulteriori studi per valutarne l’effetto anche su altri microrganismi patogeni responsabili della carie in vitro e in vivo.
Sono stati sviluppati, nel corso degli anni, numerosi prodotti per la protezione solare e la cura della pelle per ridurre il verificarsi di scottature e carcinogenesi della pelle. Ciò ha stimolato la ricerca sull’identificazione di nuove fonti naturali di composti efficaci per la protezione della pelle. Althea officinalis e Astragalus membranaceus sono stati valutati per ridurre in modo significativo il danno al DNA indotto dai raggi UVA in un recente studio in vitro. La sperimentazione sull’ astragalo ha rilevato alcuni effetti genotossici, indicando che gli estratti di radice di altea possono essere più adatti come potenziale costituente di formulazioni dermatologiche in quanto protegge dallo stress ossidativo indotto dagli UVA.8 Un estratto di radice è stato utile a inibire sia la mobilizzazione del calcio intracellulare in normali melanociti umani attivati dall’endotelina-1 e sia la proliferazione di melanociti. L’estratto, conclude la monografia dell’EMA, potrebbe diminuire l’effetto fisiologico dell’endotelina-1 su normali melanociti umani dopo l’irradiazione da UVB.9
L’ampio uso tradizionale sull’apparato bronchiale è confermato da molti studi. Rashidi et al hanno scoperto che l’estratto di Althaea officinalis etanolico all’80% era attivo contro le specie Aspergillus niger, Aspergillus fumigatus e Aspergillus flavus.10 Più di recente Gautan et al hanno valutato recentemente l’effetto antibatterico dell’estratto del seme di altea su cinque specie batteriche e un fungo, patogeni delle vie respiratorie. Dallo studio si può dedurre che A. officinalis ha un buon potenziale antimicrobico contro i microrganismi testati. È dunque ragionevole l’uso nel trattamento di malattie respiratorie. Tale studio non è comunque definitivo, ma può essere un pretesto per effettuare ulteriori ricerche al fine di analizzare i componenti bioattivo di questa pianta.11
Un recentissimo studio ha valutato un estratto ottenuto dalle radici essiccate. L’indagine fitochimica dell’estratto ha rivelato la presenza di ammidi, glicina, betaina, circa il 9% di amminoacidi totali con prolina come composto principale e circa il 61% di carboidrati mono- ed oligomerici con saccarosio come composto principale. Dallo studio si evince una più profonda comprensione fitochimica degli estratti di radice di altea e l’efficacia di questi nel trattamento del tessuto buccale irritato e della tosse.12
Gli effetti demulcenti sono dovuti all’alto contenuto di polisaccaridi che formano un rivestimento protettivo sulla mucosa orale e faringea, leniscono l’irritazione e l’infiammazione locale.13 E’ stato dimostrato inoltre che l’effetto antitussivo è dovuto alla frazione polisaccaridica la quale riduce l’intensità e la frequenza della tosse, per cui l’uso dell’estratto acquoso trova un riscontro scientifico. Secondo lo studio di Sutovska et al tale attività è persino più efficace della prenoxdiazina14. In uno studio clinico in doppio cieco, Rouhi e Ganji hanno usato l’estratto di radice in pazienti con ipertensione che avevano sviluppato tosse durante l’assunzione di ACE inibitori. I pazienti hanno ricevuto 40 mg di Althaea officinalis L. tre volte al giorno per quattro settimane. La gravità della tosse nel gruppo trattato con l’altea ha avuto un miglioramento significativo. Otto di questi pazienti hanno addirittura mostrato una remissione dalla tosse quasi completa15.
Test di tossicità non hanno indicato alcuna mortalità a dosi fino a 5 g / kg di peso corporeo dopo somministrazione orale nei topi. Effettivamente, confermato il largo uso tradizionale, non sembrerebbe una droga che desti particolari preoccupazioni, restando comunque nei limiti degli attuali studi.
Autore: Fabio Milardo
Rivista: l’Erborista. Mese: ottobre 2018
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