Il nome del genere Crataegus, attribuito a Teofrasto, deriva dal greco Kratos che significa forza, in riferimento alla durezza del legno. L’epiteto “oxyacantha”, attribuito invece a Dioscoride, è un nome greco che è stato applicato da scrittori antichi al crespino, alla Rosa mosqueta, al biancospino e altri gruppi di piante. “oxy” significa acuto e “acantha” spina.
Introduzione.
Il biancospino ha una lunga storia di utilizzo. La sicurezza
è confermata da prove cliniche a supporto dei suoi benefici cardiovascolari, in
particolare dell’attività cardiotonica. Tradizionalmente i preparati del frutto,
come gli sciroppi, erano la forma medicinale più comunemente usata; ma anche i
preparati a base di fiori, foglie e semi sono stati usati nelle tradizionali
medicine europee.
Alla fine del 1800, i medici europei iniziarono a sperimentarlo clinicamente sia
nelle malattie cardiache sia in altri disturbi cardiovascolari: da allora la
sua reputazione è cresciuta costantemente. Oggi, studi clinici e preclinici supportano
il suo uso dimostrando che, nel vasto complesso molecolare di foglie, fiori e
frutti, sono presenti composti che aumentano il flusso di sangue nel muscolo
cardiaco, peraltro influendo positivamente su altri aspetti della salute
cardiovascolare.1
L’estratto idroalcolico di foglie e fiori di C. monogyna o C. laevigata (o altre
specie del genere Crataegus) è stato approvato dalla Commissione E tedesca per
la diminuzione della gittata cardiaca (Insufficienza cardiaca di II classe, con
leggera limitazione dell’attività fisica) nella revisione del 1994 secondo la
classificazione della capacità funzionale cardiaca della New York Heart
Association. Altre fonti raccomandano preparati a base di bacche
nell’insufficienza di I classe, così come nella degenerazione cardiaca che non
richiede ancora uso di digitalici e nelle bradiritmie anche con la sensazione
di pressione al petto. La Cooperativa Scientifica Europea sulla Fitoterapia
(ESCOP) ha inoltre raccomandato tè e preparati a base di erbe, diversi da un
estratto idroalcolico, a supporto della funzione cardiaca e circolatoria.2
Descrizione
Il genere Crataegus comprende circa 250-280 specie; le
più comunemente usate nella medicina occidentale sono C. laevigata (sin c.
oxyacantha) e C. monogyna, entrambe originarie dell’Europa. La Farmacopea europea
accetta l’uso di queste 2 specie o dei loro ibridi, o di altre specie europee
di Crataegus come C. azarolus, C. nigra e C. pentagyna. La specie Crataegus è
dotata di una variabilità così rilevante da rendere poco chiari i confini delle
specie. Inoltre, l’ibridazione è talmente comune da far pensare ad una scarsa
presenza di popolazioni pure. È un arbusto spinoso originario delle zone
temperate boscose del nord Europa, dall’Inghilterra alla Lettonia e dai Pirenei
all’Italia settentrionale. Le specie Crataegus sono arbusti molto ramificati o
piccoli alberi che si effondono di solito armati di lunghe spine sottili. Le
foglie decidue sono semplici, abitualmente da ovali a ellittiche con venature
pennate, dentellate, dentate o con margini lobati. Le foglie sono più grandi e
più lobate su ramoscelli giovani.
I fiori di solito vengono prodotti in primavera su corimbi terminali semplici o
ramificati, a volte singolarmente o in gruppi di due o tre. I fiori, perfetti e
radialmente simmetrici, hanno 5 petali, spesso rosa in bocciolo che diventano
bianchi o restano rosa in piena fioritura; e 5 sepali persistenti in seguito
all’antesi. Il colore dei frutti globulari (falsi frutti, perché al loro
accrescimento partecipano, oltre all’ovario, anche altre parti fiorali) è giallo-verde,
giallo, arancio o, più comunemente, rosso. Sono a forma di pomo, simile ad una
bacca, con 1-5 piccole noccioline ossee di colore gialle-brune, solcati
dorsalmente e ventralmente. La polpa è secca, soda e succulenta,.3,4
Tassonomia
Il biancospino è un genere di piante altamente complesso. Alcuni autori notarono
quanto fosse difficile da definire in termini di specie d’appartenenza a causa
dell’ibridazione e di fattori insoliti relativi alla riproduzione, tra cui l’apomissi
(sviluppo di un embrione da cellule diverse dalle cellule sessuali), la
poliploidia, dove i numeri dei cromosomi sono aumentati di 1,2,3,4 volte o più
e l’anauploidia, in cui i numeri cromosomici sono in multipli diversi da quelli
coinvolti nella poliploidia. Le descrizioni del genere sono dunque alquanto
vaghe. Ribadisce Eggleston (1908): “Il genere è così variabile che è
impossibile trovare caratteri che siano veri in modo assoluto, sia tra specie sia
tra sezioni; i caratteri che sembrano avere un valore dominante in una sezione,
sono inutili in un’altra”.
Crataegus laevigata è il C. oxyacantha L. di antichi autori latini; questi due sono spesso confusi. Il C. oxyacantha è più comunemente usato in erboristeria; C. monogyna Jacq. viene invece usato principalmente per la produzione dei frutti.5
Usi tradizionali
Tisane a base di corteccia, bacche, foglie, corteccia di
radice e radice, linfa e alburno, spine, ramoscelli e giovani germogli di
almeno 11 specie di Crataegus sono stati usati da varie tribù nordamericane per
trattare mal di schiena, vesciche, tubercolosi, diarrea, stomatiti, disturbi
allo stomaco nonché come blando lassativo, oltre che per favorire l’appetito,
prevenire spasmi, gonfiori e fermare il flusso mestruale. La tribù dei Cherokee
usava invece l’infuso della corteccia di C. spathulata per sostenere la
circolazione sanguigna. La prima menzione riguardo l’azione del biancospino sul
cuore potrebbe essere stata fatta da Paracelso (1493-1541). Per il medico
inglese Nicholas Culpeper (1616-1654), le bacche di biancospino essiccate in
polvere ed aggiunte al vino, sarebbero utili all’edema degli arti inferiori
causato da insufficienza cardiaca congestizia. L’infuso dei fiori sarebbe
invece utile contro la diarrea e il seme, contuso e bollito nel vino, è sempre
stato “buono per i dolori interni che tormentano”. Mentre Maud
Grieve, nel suo classico del 1931 “A Modern Herbal”, attribuisce a C.
oxyacantha azioni cardiache, diuretiche, astringenti e toniche. La pianta era
principalmente usata come tonico cardiaco; fiori e bacche, a ragione della loro
astringenza, erano anche usati per sanare i mal di gola.
L’uso del biancospino per il cuore entrò nella pratica clinica europea nel XVII
secolo e divenne popolare tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Utilizzato
come un sedativo leggero, spesso combinato con lavanda (Lavandula spp.,
Lamiaceae) o melissa (Melissa officinalis, Lamiaceae) nei casi in cui la
malattia cardiaca lieve era associata a nervosismo. Parkinson (1640) scrisse
delle bacche mature o dei semi: “Un singolare rimedio contro la
pietra” (calcoli renali), o preso nel vino per l’”Idropisia”, rivelando
anche che i fiori immersi nel vino sono “Un rimedio sovrano per la
pleurite”.
Sebbene, dagli scritti di Leclerc si evinca che il biancospino ha effetti benefici
sul cuore a partire dal XII, nel 1733, Alleyne nel suo “The New English
Dispensatory” scrisse solo circa l’effetto diuretico e come “Potente espulsore
della pietra e della ghiaia”. È certo, inoltre, che i fiori sono
l’ingrediente principale della famosa “acqua nefritica”. In Europa,
sia i medici omeopatici sia quelli allopatici usavano l’erba per vari disturbi
cardiaci e cardiovascolari tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo
con grande successo clinico. Il biancospino entrò nella pratica clinica
americana nel 1896.
Erich Assmann, un medico omeopata, dichiarò quanto segue in merito all’uso del
biancospino come rimedio per i disturbi cardiaci: “Il Crataegus non è una
panacea, ma per la gestione della malattia cronica è molto più adatto della
digitale e dello strofanto, perché non ha spiacevoli effetti collaterali né cumulativi.
Il suo successo può essere raggiunto se è prescritta la tintura del frutto
maturo fresco in una dose adeguata.”
Green, un altro medico stavolta irlandese, era noto per aver ampiamente
utilizzato tale pianta per i disturbi cardiaci: dopo la sua morte i suoi
successi nell’uso di tale pianta ha avuto eco in tutto il globo. Secondo J.U.
Lloyd (1917) questo è il primo cospicuo riferimento americano sull’uso del
biancospino nel trattamento delle patologie cardiache; egli scrisse: “Un
noto medico, il defunto dott. Green, di Ennis, nella contea di Clare, in
Irlanda, raggiunse un’estesa reputazione nel trattamento della “malattia del
cuore”, mantenendo il rimedio un segreto. Alla sua morte, nel 1894, sua figlia
rivelò il fatto che questa cura famosa fosse una tintura delle bacche mature di
Crataegus oxyacantha.”
In seguito alla pubblicazione nel 1896 di M.C. Jennings sul “New York Medical
Journal” riguardo gli effetti curativi del biancospino, qualche medico decise
di approfondire gli studi di Lloyd per produrre una preparazione a base di
frutti maturi di biancospino. Il nome della specie purtroppo non era riportato
sull’etichetta del prodotto di Lloyd, su cui era scritto: “Indicazioni e usi
specifici: affezioni cardiache funzionali e organiche, con dolore, dispnea,
oppressione precordiale, azione cardiaca rapida e debole, insufficienza
valvolare, ipertrofia cardiaca; marcata anemia, stasi venosa, angina pectoris,
endocardite dopo reumatismi infiammatori.” Un certo numero di articoli dal 1896
al 1916, comprese le Case History, è riprodotto nel “Lloyd Brothers Treatise on
Crataegus” (Lloyd 1917). I riferimenti storici alle proprietà dei frutti di
biancospino che influiscono sulla funzionalità cardiaca sono assenti dalla
letteratura antecedente al 1896. Nei primi due decenni di questo secolo,
numerosi articoli e Case History sull’uso del biancospino nelle malattie
cardiache sono comparsi sia in libri di testo sia nella letteratura periodica,
principalmente da parte di medici provenienti dalla scuola di medicina eclettica
americana.6 Questa scuola medica, considerata populista e
anticonformista, non era altro che un’estensione delle antiche tradizioni della
scienza medica erboristica americana nonché della medicina dei nativi.
Composizione ed usi medicinali
Varie specie di foglie e fiori di biancospino sono
ufficialmente riconosciute da diversi compendi: la Farmacopea tedesca riconosce
fino a cinque specie e la Farmacopea europea ne riconosce due. L’American
Herbal Pharmacopoeia (non ufficiale) riconosce C. laevigata (C. oxyacantha) e
C. monogyna, ma anche i loro ibridi e altre specie.7,8
La Farmacopea europea richiede che i preparati di biancospino contengano non meno
dell’1,5% di flavonoidi calcolati come iperoside, stando a un metodo basato sulla
spettrofotometria. Sia la farmacopea austriaca sia quella tedesca, tuttavia,
richiedono non meno dello 0,7% di flavonoidi, misurati attraverso il metodo della
cromatografia liquida ad alte prestazioni. Pertanto, è inevitabile
sottoscrivere che il responsabile di tale discrepanza di valore è il differente
metodo analitico non la diversa materia prima.
La bacca secca contiene non meno dell’1,0% delle procianidine calcolate come
cianidina cloruro. Nella fitoterapia, il biancospino si riferisce al frutto,
alla foglia e/o al fiore del genere Crataegus (di solito C. laevigata, sin. C.
oxyacantha) e C. monogyna. Nel 1984, la Commissione E pubblicò una monografia
sul biancospino (spesso chiamato anche Crataegus, basata al nome latino del
genere) che comprendeva tutte le sue parti aeree e si fondava sull’esperienza
storica, su molti studi farmacologici di vari preparati delle tre diverse parti
di piante; circa 20 studi clinici aperti e molti casi clinici. Le indicazioni
originali riguardavano la valutazione funzionale delle classi di cardiopatia. Altre
indicazioni comprendevano la sensazione di pressione al petto, la degenerazione
cardiaca che non richiedeva ancora l’uso di digitalici e le leggere forme di bradiaritmie.9
Il biancospino contiene una serie di sostanze farmacologicamente attive, di cui i composti più diffusi sono: flavonoidi, acidi triterpenici, acidi carbossilici e fenolici. I flavonoidi come vitexina, iperoside, rutina, catechina, epicatechina, procianidine oligomeriche, sono i costituenti più importanti. Gli acidi triterpenici (ursolici, oleanolici e crataegolici) e gli acidi carbossilici fenolici (acidi clorogenici e caffeici e varie ammine) sono accuratamente studiati in esperimenti in vitro, in studi su animali e in studi clinici sull’uomo10. Attualmente, gli estratti di biancospino più studiati sono un estratto etanolico al 45% titolato al 18,75% in OPC con un rapporto D/E da 4 a 7: 1 e un estratto metanolico al 70% con un contenuto di flavonoidi del 2,2%.
Premesso che lo stress ossidativo è una delle variabili più allarmanti nella patogenesi dell’ischemia miocardica, l’attività antiossidante potrebbe esercitare effetti benefici in varie malattie cardiovascolari11. Infatti, dopo alcuni studi, è stato possibile comprendere gli eventuali meccanismi della tintura di biancospino che includono la riduzione della perossidazione lipidica in ratti trattati con isoproterenolo12. Le malattie cardiovascolari sono associate anche ai disturbi strutturali e funzionali nei mitocondri del cuore. Poiché i mitocondri producono il 95% dell’energia necessaria per la funzione cardiaca, i responsabili che potrebbero influenzare la disfunzione mitocondriale sono di particolare importanza. In uno studio, un estratto alcolico di Crataegus oxyacantha ha mantenuto lo stato antiossidante mitocondriale e prevenuto il danno perossidativo dei lipidi mitocondriali, riducendo inoltre alcuni enzimi del ciclo di Krebs indotti dall’isoproterenolo nel cuore di ratto13. Un altro studio, più recente, ha dimostrato che gli estratti di frutti di Crataegus riducono il potenziale di membrana mitocondriale e la produzione di H2O214. Molto probabilmente, l’estratto alcolico di biancospino è efficace nella protezione miocardica anche perché riduce lo stress ossidativo e l’apoptosi16. Questa conclusione è supportata anche dall’inibizione dell’ossido nitrico sintetasi, con riduzione di livelli di NO, della ciclossigenasi-2 e della perossidazione lipidica in due recentissimi studi15,16.
Le piastrine attivate svolgono un ruolo cruciale in diverse patologie arteriose, inclusi ictus e sindromi coronariche acute, che cominciano dalla rottura della placca alla successiva formazione del trombo. L’estratto di Crataegus sembra possedere un’efficace attività anti piastrinica nonché vasodilatatrice sia nella circolazione coronarica sia nella vascolarizzazione periferica, il quale può essere mediata dall’inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE). Una compromessa funzione endoteliale e la conseguente formazione di edema sono le caratteristiche principali di gravi disturbi come l’aterosclerosi, l’asma, la sepsi o l’insufficienza cardiaca. Il biancospino sembra avere un ruolo protettivo efficace, mediante l’azione su determinanti chiave della permeabilità endoteliale15.
Il biancospino vanta dunque un intenso effetto protettivo contro l’ischemia ma anche antiaritmico; quest’ultimo effetto è simile all’azione dei farmaci antiaritmici di classe III. L’estratto sembra aver comportato una diminuzione significativa del numero totale di battiti ectopici ventricolari (dovuta probabilmente alla riduzione delle singole extrasistoli), battiti che si riscontrano nella tachicardia ventricolare. Gli effetti ipolipemizzanti e riducenti la pressione arteriosa sono ancora da approfondire, soprattutto il secondo in quanto le indagini cliniche hanno dato risultati alquanto contraddittori.
La maggior parte degli eventi avversi è stata da lieve a moderate e molti fra gli studi indicano che l’estratto di biancospino è ben tollerato. Una revisione sistematica ha incluso 29 studi clinici su 7311 pazienti. Complessivamente, sono stati segnalati 166 eventi avversi. Otto eventi avversi gravi sono stati segnalati nell’estratto metanolico come vertigini, disturbi gastrointestinali, mal di testa, emicrania e palpitazioni17. Il biancospino è un’erba ad azione lenta e deve essere utilizzato per almeno 4-8 settimane per ottenere il massimo beneficio. Il dosaggio dipende dal tipo di preparazione e dal materiale di origine. Non ci sono state segnalazioni di interazioni farmacologiche10.
Autore: Fabio Milardo
Rivista: l’Erborista. Mese: maggio 2018
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